Sicura sia l’abito giusto? Viaggio tra gli atelier – Parte 2
Chiudi gli occhi e immagina di trovarti nel cuore di una città calda, viva, soleggiata, accogliente: ti portiamo a Napoli, in via San Carlo, con davanti la vista spettacolare di Castel Nuovo. Qui ha sede “Dive e Dame“, seconda tappa del nostro viaggio tra gli atelier più prestigiosi d’Italia, per incontrare gli esperti del settore ed aiutarti nella ricerca – e nella scoperta – dell’abito da sposa creato apposta per te.
Ad accoglierti c’è Pina Rinaldi, stilista e titolare della boutique: “Sincerità: è la mia parola d’ordine – esordisce –, perché ci tengo che chi sceglie il mio atelier si senta bene e torni”. “Figlia d’arte”, Pina è stata indirizzata fin da bambina verso il disegno dei capi d’abbigliamento. La scelta di dedicarsi esclusivamente al mondo del Wedding è maturata poi nel corso del tempo.
Venticinque anni di esperienza nel settore, prima regola da seguire secondo Pina “è rifarsi sempre a scelte improntate alla semplicità. Amo la semplicità – spiega – , ma anche il sapersi differenziare. Ogni volta, davanti a una futura sposa è per me come fosse il primo giorno: sono per lei tutte le mie attenzioni. È innanzitutto una questione di sensibilità: non è solo un discorso ‘tecnico’, ovvero vestire una donna esaltandone i pregi e nascondendone i difetti, bensì sapere intervenire, dare a ciascuna il consiglio giusto”.
Cosa puoi fare allora per evitare errori e passi falsi? “Spesso – rivela – il rischio viene evitato semplicemente assecondando le richieste, procedendo per prove: finisce sempre che davanti alla dimostrazione palese di un buon consiglio, il bello diventa oggettivo e viene quindi riconosciuto”. Un’opera di “riconoscimento”, quindi, come quella che l’ha portata a scegliere tra i suoi capi, quelli di Elisabetta Polignano: “Per un’affinità fortissima , tra noi stilisti ci ‘riconosciamo’ – sorride –. Grande dote di Elisabetta, poi, è quella di riuscire a coniugare nei suoi abiti semplicità e ricercatezza. Mai un eccesso, in un abito Polignano, né una banalità”.